Il sogno
di Giovanni Michelucci
La fiaba-racconto di Giovanni Michelucci è un tema di grande ispirazione. In questa fiaba Michelucci racconta la sua meraviglia: scopre in sogno una piccolissima capanna nel bosco abitata da un angelo. Le sue ali che si muovono sono necessarie per far vivere lo spazio seppur piccolo. Poi si pone una domanda: come mai lo spazio non basta mai all’uomo? MIchelucci ci invita a diventare angeli per cambiare il mondo e rendere i luoghi pieni di vita. Una riflessione più che mai attuale sul senso e sul ruolo etico e morale dell’architettura e sulla necessità di modelli di sviluppo urbano più sostenibili a partire da un uso responsabile e consapevole del suolo. Nella sua immagine la capanna e l’architettura vernacolare diventano un possibile modello per immaginare un’architettura contemporanea sempre più sostenibile.
“Non so, né mi sono mai preoccupato di capire cosa significhino i sogni, quale influenza abbiano sulla realtà, anche perché li ho sempre considerati parte integrante della realtà stessa. Ed è per questo che mi ritengo un sognatore di città possibili.
Un “deviante della mente” forse si sarebbe detto in altri tempi. Un sintomo di disadattamento rispetto ai ritmi inesorabili del progresso e dello sviluppo della civiltà metropolitana. Ma ora che questo tipo di sviluppo sembra assumere la velocità di accelerazione di una caduta catastrofica, piuttosto che la crescita di un organismo vitale, questo fare proprie le suggestioni del sogno può diventare uno dei pochi appigli alla speranza, per riacquistare un rapporto diverso non solo con il proprio passato, ma soprattutto con il futuro.
Fatto sta che ho sognato la cosa più elementare che possa sognare un uomo: una capanna in un bosco. Una capanna con la bocca di lupo, una povera capanna, una dimora provvisoria, il cui aspetto evocava l’infanzia, i ricordi ancestrali, gli odori e gli umori del muschio, del pane appena cotto, del formaggio. Ricordi forse di una realtà irrecuperabile se non nel sogno.
Tanto vero che, avvicinandomi, la capanna, invece di ingrandirsi, rimpiccioliva sempre di più. Un luogo talmente piccolo da considerarsi inabitabile. Ma d’un tratto ho intravisto all’interno l’ala di un angelo: una presenza angelica. E nessun luogo è povero o di poco conto se è abitato da un angelo!
Allora da questo sogno, apparentemente regressivo, mi è parso di comprendere visivamente una realtà elementare eppure ricca di implicazioni: che non sono i luoghi che devono cambiare, ma le persone che li abitano. Una verità che Giotto aveva capito benissimo. Tanto è vero che in molte delle sue opere gli spazi raffigurati sono angusti rispetto all’azione che vi si svolge.
La stessa ala dell’angelo che io ho sognato somiglia a quella che attraversa la piccola finestra nell’edicola dell’Annunciazione.
Uno spazio è sempre povero, quando è privo di capacità di relazioni, ed è sempre bello, quando è generativo di incontri, di possibilità sinora inesplorate.
È forse questa la felicità dell’architetto.”
testo tratto da: “La felicità dell’architetto (1948-1980)” di Giovanni Michelucci, Tellini Ed., Pistoia, 1981
“Ero entrato in un bosco, uno di quei boschi dove c’è l’odore delle foglie marce, delle castagne e dove ci sono tutti i colori della campagna toscana. Ecco appunto giravo preso dal fascino degli odori, dai movimenti dei rami e dei tronchi, dai raggi del sole che filtravano… Stavo vivendo il bosco, quando scopro, o immagino di scoprire una piccola capanna, piccolissima, dove ci poteva stare pochissima gente o nessuno. Una capanna ridotta piuttosto male che aveva la porta semiaperta. E guardandola mi chiedevo chi mai potesse vivere in così poco spazio. Con questo interrogativo mi sono avvicinato alla porta e dallo spiraglio ho potuto intravedere all’interno un’ala che si muoveva lentamente. Cioè era un angelo che con quel movimento dell’ala creava nell’ambiente quell’atmosfera che è necessaria agli angeli per vivere, per continuare a vivere ancora fra noi. Meraviglia. Un angelo vive, all’angelo basta quello spazio…Allora c’è da porsi una domanda. Come mai lo spazio non basta mai all’uomo? Invece nella capanna ci sono degli esseri che vivono e mettono a posto tutte le loro piccole cose…quelli creano lo spazio però non sono mica uomini, sono angeli… Allora bisogna cambiare il mondo e che l’uomo divenga un angelo. E possibile? Sì, è possibile”.
testo e immagine tratti da: “Dove si incontrano gli angeli. Pensieri, fiabe e sogni” di Giovanni Michelucci. A cura di G. Cecconi, Carlo Zella Ed., 1997, p. 15. Il testo riadattato è stato tratto da un’intervista di Mario Lupano in “Domus” n. 720, 1990, p. 26.