Città possibili

Le città possibili sono città che modulano i propri spazi, fisici e materiali sui bisogni e sui sogni degli individui e della comunità che le vivono. E Colle di Val d’Elsa può esserlo a pieno titolo. È un luogo identitario che respira di storia, ma non per questo schiacciata sotto il suo peso. Ha sempre avuto la forza e il desiderio di rinnovarsi con modelli urbani innovativi e ha sempre creduto nel valore culturale dell’architettura.
La sede della Banca Monte dei Paschi di Siena dell’architetto Giovanni Michelucci, ne è un chiaro esempio: costituisce un tassello fondamentale del patrimonio architettonico, artistico e culturale non solo per la città, ma anche per l’intera nazione.

Una propensione all’innovazione che fa parte del DNA di questa città che si è sempre messa in gioco rischiando e perdendo alcune sfide anche importanti. Nel 1997 veniva affidata all’architetto francese Jean Nouvel la riqualificazione urbanistica e architettonica di una parte importante della città, compresa tra piazza Arnolfo e le aree industriali dismesse della Ferriera Masson e Vulcania. La storia difficile degli anni che seguirono e la crisi economica che colpì tutto il territorio interruppe l’ambizioso progetto, un fallimento che ancora oggi ha forti ripercussioni nella comunità e che si manifesta in una generale sfiducia nel ruolo dell’architettura nel progresso civile, sociale ed economico della città.

L’architettura contemporanea sembra lasciare poco spazio alla ricerca di linguaggi condivisi con la comunità. Il rischio è di essere in antitesi con lo spirito del tempo che ci chiede invece di porci sempre di più in ascolto e al servizio delle comunità, di porci più domande che ostentare certezze. Dare forma agli spazi deve diventare un atto rivoluzionario e profondamente etico.
Nel sempre più ampio e variegato patrimonio immobiliare in dismissione non più profittevole, parlare di architettura e di città non solo tra architetti ma coinvolgendo un po’ tutti gli attori della rigenerazione urbana è sempre più necessario, perché sappiamo che oggi senza comunità non si può avviare quella catena di valore che permette la trasformazione dei luoghi.